Si dice che, anche il più fortunato, cioè chi può contare su un amico/a vicino con cui confrontarsi, "confessarsi", qualcuno a cui raccontare gioie e dolori della propria vita, comunque non racconti mai tutto. C'è sempre qualcosa che non si riesce ad esternare. Sarà per vergogna, sarà per un limite al pudore, sarà perchè, fondamentalmente non ci piace mai mettere la nostra anima, i nostri sentimenti, completamente a nudo aldilà della confidenza e dell'amore che ci unisce alla persona che abbiamo di fronte.
Ore 08:40 di Lunedì 25 Marzo. Il treno frecciarossa da Roma a Milano sta per partire dal binario 16 della stazione Termini. Il nostro protagonista si toglie la giacca, la appende, apre la propria borsa e prende il giornale appena comprato in edicola. Abbassa la suoneria del telefonino, come richiesto dalla voce rassicurante ma decisa che fuoriesce dagli altoparlanti, prende penna e block notes, nel caso gli dovesse venire un pensiero, un'idea, da imprimere su carta e si accomoda sul sedile a lui assegnato. Appena un gesto di saluto alla persona seduta di fronte e dagli altoparlanti del treno la stessa voce di prima annuncia che da qui a breve si partirà e che, eventuali accompagnatori, erano pregati di scendere. Il nostro protagonista ha un curriculum di viaggi in treno degno di una menzione d'onore da parte delle ferrovie dello stato ma non ama intraprendere conversazioni con i compagni di viaggio che il destino gli assegna perchè sa, vista l'esperienza accumulata, che di fronte può avere una persona con cui si possa iniziare una chiacchierata piacevole ma che, ovviamente, di fronte ci possa anche essere una persona incapace di star zitta. Una persona che parte sempre da considerazioni meteo e, da lì in poi, con un turbinio disordinato di parole, la conversazione toccherà tutte le sfere dell'umano essere senza nessuna possibilità per il nostro di dire più di quattro parole di fila. Tra l'altro, mentre il passeggero con cui si chiacchiererebbe piacevolmente scende sempre alla prima fermata prevista, chi ha un sistema logorroico di conversazione fa, guarda caso, esattamente il suo stesso percorso, senza dargli via d'uscita se non la minaccia di una denuncia per stalking involontario. Il treno si muove lentamente lasciandosi alle spalle la stazione di partenza. Il nostro si da un’occhiata in giro cercando di creare un profilo degli altri passeggeri. Nei sedili di fianco ha una coppia di colleghi cinquantenni che, pc portatile aperto, parlano di lavoro, colleghi, imprese epiche di vendita, appuntamenti qui e lì. Viaggiatori per lavoro, hanno la fede, entrambi giacca e cravatta, rivedibili le scarpe di uno e la pettinatura dell’altro. Di fronte a destra c’è una signora asiatica. Molto piccolina. I piedi non toccano terra. Riceve due telefonate di fila. Brevi conversazioni, a voce altissima ma con tono confidenziale. Impossibile comprendere. Andrà da parenti. Ha una grossa valigia e delle buste che tiene gelosamente davanti al sedile. Età indecifrabile diciamo tra i 35 portati malissimo ed i 45 che sembrano più consoni al suo abbigliamento ed al suo viso. Di fronte a sinistra una famiglia tedesca (madre, padre, figlio) lascia Roma visibilmente dispiaciuta e si dirige verso la scoperta di un’altra città della nostra bella Italia. Come quasi tutti i viaggiatori in un paese straniero parlano ad alta voce nella consapevolezza che nessuno può comprendere cosa dicono ed allora si cerca di immaginare osservando volti ed espressioni il tono della conversazione stessa. Sono chiaramente dei turisti. Hanno con loro due grosse valige. La mamma riesce contemporaneamente a leggere un libro, rispondere (spesso solo con un gesto della testa) al marito e tenere a bada il figlio che gioca noiosamente con una consolle portatile a qualche gioco di guerra. Adesso tocca al passeggero che il destino gli ha messo di fronte e con cui condivide uno spazio piccolissimo dove, a meno che non si decida di fare tutto il viaggio ginocchio contro ginocchio, si rende necessario un tacito accordo che stabilisca, senza che nessuno dei due proferisca verbo, chi terrà le game di qui e chi di là. Abbigliamento casual curato, aspetto rassicurante, legge il Corriere della Sera, ha una piccola borsa che non fa immaginare se il suo viaggio sarà un’andata e ritorno in giornata, se prevede un pernottamento fuori, se sta lasciando Roma o se sta tornando nella sua città. La borsa, dopo aver tirato fuori quanto potrebbe servire per il viaggio, la tiene sul sedile di fianco. I tratti somatici direbbero nord Italia. A sensazione viaggia per lavoro. Difficile dire se si tratta di un’andata o di un ritorno.
Il nostro protagonista ha da giorni un pensiero che ha preso dimora nel suo cervello. Un pensiero che non riesce a controllare, ad esternare a causa del suo cronico essere cervellotico. Non ha un psicoterapeuta e, come dicevamo all’inizio, come tanti, non è in grado di mettere se stesso a nudo e, anche quando decide di farlo, porta sempre con se un piccolo asciugamano per coprire quella percentuale che mai mostrerebbe a nessuno dei suoi abituali “confessori”. Sarà anche un limite ma, il suo essere cervellotico, lo porta sempre a dover fare una sintesi interna prima di poter parlare di qualcosa che lo turba o che gli ha dato fastidio. Questo suo modo di essere nasce da errori del passato in cui, esternando istintivamente e senza filtri, ha creato dei danni che potevano essere evitati se solo fosse stato capace di vedere la cosa anche da un paio di punti di vista differenti dal suo. Allora, da quel momento in poi, cerca di uscire dalla sua fisicità per porsi, come spettatore, in altre posizioni prospettiche che gli permettano di vedere la stessa cosa da un altro punto luce. Avrebbe bisogno di espellere questo tarlo che lentamente gli sta bucando il cervello, distruggendo lo stomaco ed il cuore ma non ha che se e la sua auto analisi con la quale comunque è sempre riuscito a venirne a capo anche se, in questo caso, la situazione è diversa: non capisce, non ha il quadro della situazione, avrebbe bisogno di sapere. Fin qui tutto semplice: basterebbe capire, farsi un quadro della situazione, sapere. Il problema è che non vuole capire, non vuole avere il quadro della situazione e non vuole sapere. Vuole soltanto cancellare tutto e poter tornare indietro di un paio di settimane per far si che la conversazione avuta non si concludesse con quella frase che non aveva mai ascoltato e, con il senno di poi, non avrebbe mai voluto sentire. Ecco perchè oggi è sul treno diretto a Milano. Perché ha deciso di recarsi in piazza Duomo, salire tre gradini dello stesso, ed urlare sputando tutto quello che ha accumulato ad oggi ai passanti della piazza, senza minimamente preoccuparsi di chi si fermerà ad ascoltarlo con attenzione, chi passerà davanti ridendo, i giapponesi che lo fotograferanno per portarsi a casa un ricordo fuori dall’ordinario della loro vacanza. Non gliene frega niente neanche se i vigili urbani o le forze dell’ordine in generale tenteranno di distoglierlo dal suo intento. Il suo unico scopo è di potersi, finalmente, mettere a nudo parlando a persone che non lo conoscono, che non lo hanno mai visto e che lui stesso mai più vedrà nella sua vita. Ma è proprio in quel momento che ha un’intuizione. Si ricorda per una frazione di secondo di aver letto, anni prima, da qualche parte, uno psicologo che scriveva che si riesce ad essere sinceri soltanto parlando con un estraneo durante un viaggio in treno perché lì cadono le nostre inibizioni consapevoli che il giudizio di chi ci sta di fronte è irrilevante considerando che, una volta scesi dal treno, avremmo avuto la possibilità di non vederlo mai più.
Il destino, che spesso non è generoso, quel giorno aveva unito sullo stesso treno, allo stesso orario, nello stesso vagone, una di fronte all’altra due persone che partivano per lo stesso motivo: liberarsi di qualcosa che non potevano più conservare nei doppi fondo di cassetti della loro anima. I cassetti andavano svuotati ed eliminati in un posto lontano, dove nessuno avrebbe mai più potuto ritrovare il loro nascosto contenuto. I due, per motivi che nessuno potrà mai spiegare, iniziarono contemporaneamente e senza un chiaro perché ad esternare liberamente e senza foglie di fico i loro dolori, le loro ansie, le loro domande prive di risposta. Arrivati a Milano presero un caffè nel bar della stazione centrale. Non si dissero una parola. Ognuno pagò la propria consumazione come se non avesse mai visto l’altro. Salirono insieme su il primo treno che li riportava a Roma senza neanche guardarsi. L’unica accortezza che usarono fu quella di capitare nuovamente di fronte Fecero, silenziosamente ed intimamente, una breve scheda dei passeggeri che li circondavano, ripresero i loro sfoghi alternandosi con un ordine perfetto e senza mai sovrapporsi fino alla stazione Termini di Roma dove, scesi dal treno, senza neanche salutarsi, presero, con un tacito accordo e senza che nessuno dei due avesse proferito verbo, due strade opposte con la consapevole volontà di non vedersi mai più.